
Il piatto si cosparse di rosso, sangue.
Il bicchiere s’infranse al suolo.
-Che schifezza è questa, Gianni?!
Evocammo il Settembre di ventotto stagioni addietro: l’ebbrezza del suo splendore avrebbe fuggito quell’istante.
Era meglio stare a mezz’aria, protetti dalle foglie, irrigati dal sole, nutrendosi di acqua e vivendo ancorati a quella terra polverosa, sotto lo sguardo del grande ulivo antistante.
Sole e luna si davano il cambio mentre l’asfalto li ammirava taciturno.
Stavamo presso una via che di notte si illuminò solo quando, trascinate da musica e soffio estivo, due ragazze ridenti risalirono dalla città per parcheggiare la loro auto lì. Spensero i fanali, a pochi metri da dove, tra la frasche, ero io con i miei amici.
-Adesso, qui?
-Sì, chi vuoi ci veda?
-Fammi finire l'ultimo sorso...
Gettarono dal finestrino una bottiglia scura.
Le loro lingue si intrecciarono e così anche i rosei corpi. Gemiti saffici morsero il buio.
Perché tanta follia? Tanta segretezza?
-Razza strana quella umana.- Mi rispose serafico un compagno.
Nascondersi a quel modo, come braccati, per consumare l’istintivo amore sembrava prova di tutta la loro stravaganza.
Noi grappoli d’uva, invece, nasciamo sotto gli occhi di tutti. Germogliamo dalle viti.
La natura ci crea, il mezzogiorno ci culla, il suolo ci nutre, la vite ci accudisce e gli uomini ci coltivano premurosamente, per poi coglierci.
-Man! Muv’t ca mò mu iè mizza dej! (Sbrigati, è quasi mezzogiorno)
A decine ci tagliarono con alcuni rami dalla vite rantolante che ci diede l’addio. I raccoglitori ci posero in ceste sulle loro spalle. Ogni tanto facevano capolino con occhi freddi e visi arsi, controllavano se la cesta fosse piena. Ci scaricarono con tanti altri grappoli.
Dal trattore vedemmo la strada. Le altre campagne sterminate.
Infine la "città". Gli uomini ne parlavano sempre.
Barriere disordinate, grigio. Gente a lavoro con le maniche rimboccate per il caldo. Vecchi umani si lamentavano del cattivo raccolto. Palme malinconiche ci sorrisero a bordi delle strade d'asfalto. Ci diedero il benvenuto: la città si chiamava "Barletta".
Castello Federiciano, colosso di bronzo, splendidi borghi e chiese medioevali da un lato, ortofrutticolo, industrie, maglierie e calzaturifici dall’altro. Laborioso villaggio che s’atteggiava a provincia.
In breve fummo smerciati e finimmo in grossi contenitori, nella “Cantina sociale”.
I moscerini sopra turbinavano come avvoltoi.
Dall’alto un coperchio annegò il nostro sguardo, il terrore inutilmente ci strinse l’un l’altro.
Udimmo un rullo, come di mille timpani prima di una battaglia. Si fece più forte fino a coprire il rumore dei grappoli pestati, assordante, sembrò sfondasse le pelli percosse.
Pareva finita.
Fu il calore.
La vista si opacizzò, tutto sembrò girare assieme allo stridere.
Scomparvero i grappoli, si dissolse il torchio.
Tutto si compresse per poi rinascere a nuova vita.
Liquido in fermentazione, mosto.
Ci colse una nuova allegria, gioimmo senza corpo, confondemmo le nostre anime. Scampata la paura diventammo unica essenza. Della campagna pugliese eravamo il figlio purissimo, pronto a maturare riposto in botte.
Passarono sette pazienti anni.
Rosso Barletta DOC.
Rosso secco squisito con secondi di carne rossa, formaggio o pollo. Nasce da selezionati vigneti d’Uva di Troia, Sangiovese, Montepulciano e Malbech nei pressi di Barletta, S. Ferdinando e Trinitapoli, nella Valle dell’Ofanto. Stagionato da due a sette anni nelle cantine della città della Disfida raggiunge una gradazione di circa 12 gradi. Si presenta alla vista di colore rosso dal rubino al granata, vinoso e fruttato all’odore, secco ed intenso al gusto.
“Madò, altro che il vino di Mbà Ruggiero!” Disse fra sé una paffuta signora sulla quarantina. Aveva afferrato quella bottiglia scura dallo scaffale, attirata dall’etichetta viola chiaro con caratteri bianchi.
Sedotta dal fascino di quelle parole così ben articolate, stava per adagiare il vino nel suo carrello, quando una grido razionale le impedì di farlo. Lesse il cartellino del prezzo e si domandò a voce alta:- Eh? Dieci Euro?? E che sta il tesoro dentro?
Un uomo vestito di camicia e garbo, udendo la signora, le si avvicinò.
-Mi permetto di consigliarLe, se desidera comunque il Rosso Barletta senza spendere altrettanto, là in fondo…- Indicò con la testa la sezione "vini" all'interno dello stesso centro commerciale, appena fuori l'enoteca in cui ci trovavamo.
-Vi trova pressoché la stessa qualità ma a un prezzo inferiore. Se la bottiglia di plastica e la minor stagionatura non sono un problema per Lei...
La signora compiaciuta della cortesia ringraziò e aggiunse:- Con quest’Euro, lo stipendio è quello, i prezzi aumentano, una volta altro che vino nella plastica!-
L’uomo accennò un sorriso, finse assenso con il capo e lesse a sua volta la mia etichetta. Dopiché afferrò altre bottiglie.
Finimmo così con le altre bottiglie su un tavolo di legno intarsiato. Dall’ampia vetrata s’intravedevano ulivi sporadici e rugosi, circondati da distese di grano rese ocra dalla declinante luce crepuscolare. Per terra nella sala vi era un tappeto rosso scuro. Gli arazzi che dominavano le pareti lasciavano intravedere mattoni di tufo. I mobili barocchi erano ricoperti di suppellettili di cristallo, porcellana, argento i cui riflessi creavano singolari giochi di luce sulla volta a crociera.
La sala si popolò di signore e signori. Comparvero accanto noi pietanze d’ogni genere.
Quello che doveva essere il proprietario, un uomo alto e in forma per la sua età, nuotava nei complimenti che piovevano in sala. “ Che arazzo! Quello cosa è, Dioniso?” “Primo d‘orecchiette ottimo, come sempre da te si mangia davvero bene.”
Si passò ai vini. –Stap!-
L’odore, non più frenato dal sughero, inebriò già i commensali. L’uomo ci afferrò e, versandoci in un bicchiere, lo portò distrattamente alla bocca facendone gran sorso. Il suo viso si infiammò, sputò in un piatto, che si tinse di rosso.
Sacrilegio.
La scena attirò l'attenzione di alcuni banchettanti. Tacquero. I loro sguardi si interrogavano del perché del gesto. L’uomo che ci aveva scelti entrò in scena.
-Mi permetto, signore, di farLe notare che questo vino è da accompagnarsi a secondi.
-Fa schifo comunque, Gianni!
-Ammesso che quel vino non Le sia stato gradito, mi pare, che gli altri siano stati di gusto ai suoi ospiti, come la cena preparata da…
-Sì va bene, adesso vai, dai...- Lo scacciò l’uomo.
La tavolata empatizzò per Gianni. E come spesso accade tra gli umani, lo fece con timidi e ambigui sguardi. Nessuno disse nulla o si mosse in sua difesa. Sdegnato, Gianni ci afferrò e ci portò con sé attraverso le stanze, fino a uno scantinato spoglio e umido. Si liberò dalla camicia e assaporò un sorso piccolo, poi più grande, grandissimo. Capimmo che avremmo dovuto aiutarlo noi.
La bottiglia era esangue per terra dopo pochi minuti.
Dal suo stomaco vuoto, veloce risalimmo alle tempie, esertondolo alla Veritas.
Intavolò un monologo con se stesso -Quel cafone arricchito, di vino e vita non sa nulla!-Hic!–Questo vino è ottim…-Singhiozzo- Gliel’ho fatta arredare io la villa, l’arazzo di Dioniso ecceter…-Hic- Dieci anni a lavorare, cucinare e servire vini. Onestà! È questo il premio? Sto coglio.- Hic!
Gli evocammo ricordi: da ragazzo, tra un sorso e l’altro, era stato sempre l’intenditore della compagnia. Gli studi e poi il lavoro da enologo privato, non era riuscito a trovare altro e la paga era buona e gli orari gli permettevano di lavorare su recensioni e manuali. Eppure accettare si era però rivelato un errore.
A intermittenza lo afferravamo per la base del cranio, dissolvendogli vista, udito e tatto, rendendoli un unico e confuso sentire. Gianni si alzò e risalì le stanze, instabile.
Spalancò la porta:- Mi licenzio! Vada al diavolo coi suoi modi arroganti. Io sono come il vino! Vado capito, ca-pi-to. Non disprezzato. Vada a coltivare le viti, veda fermentare il mosto, lo imbottigli e capisca cosa c’è dietro, cosa disdegna sputando un buon vino! Mani, sudore, passione, sangue. Ignorante!
Gli umani scoprirono il vino molti anni addietro ma gli diedero subito mille scopi: far nascere un amore, creare e rompere amicizie, addolcir la poesia, conferir armonia alla musica di compositori mediocri.
Noi, liberammo un uomo.
Racconto scritto per un contest tematico: Il vino
fico fralack, bello proprio
RispondiEliminadema