Chi sono

Mi diletto, tra le altre cose, di scrittura.
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domenica 20 giugno 2010

AND JUSTICE FOR ALL di Francesco Balacco


-Apra o sfondiamo la porta!

Sul pavimento mio padre, insanguinato come le volpi che cacciavamo assieme quando ero piccolo.

Quando mi arrestarono stringevo ancora la sua Beretta 96.



31 anni, spara al padre.

Il giovane era affetto da disturbi da tempo. Gli inquirenti indagano ma si pensa al raptus.



-È stato un incidente, le giuro, non è preterintenzionato nulla! Volevo bene al Babbo! Non era lui il bersaglio, ero io! Se solo mi avesse lasciato morire, farmi fuori… Le giuro- Dichiarai piangendo in Tribunale.

L’avvocato si sforzò perché la verità venisse fuori. Fu trovata nelle cartelle del mio PC.

Basta. Domani porrò fine al martirio della mia passione e volontà. Otto anni di studi, master, anni di concorsi e corsi inutili. Raccomandati dentro, io fuori. Sono stanco di mendicare: tenetevelo il vostro posto privilegiato. Mi ammazzo, mi ammazzo! Così col mio cadavere farete mangiare chi vi sta più simpatico. Preferisco ammazzarmi con un colpo secco che accontentarmi e condannarmi ad ingoiare a vita i cocci dei miei sogni frantumati.

Fino allora ero stato una comparsa che aveva sperato a lungo di interpretare il ruolo del protagonista e, stancatomi di recitare, volevo andarmene così, senza effetti, da comparsa.

Mio padre, scoperto tutto, tentò di tirarmi fuori dai guai anche stavolta, bloccandomi mentre premevo il grilletto. Scrisse un colpo di scena inaspettato: la pallottola gli recise la femorale, dandomi una seconda occasione. Mi iscrisse contro la mia volontà ad un nuovo provino.

-Non ci provare più, promettimi solo questo… Dio esiste. È buono e giu…

Avrei dovuto completare la parola, ma ci credevo meno che mai.

A sei mesi dal fatto stavano per assolvermi. Non l’avevo ammazzato, era stata una disgrazia.

È giusto così, si diceva.

La giustizia degli esseri umani, del codice penale, aveva fatto il suo corso, provando la mia innocenza.

La giustizia della forma e del mio nome onesto stava trionfando, dimostrando a tutti che non ero assassino di nessuno, se non di me stesso.

Al mio avvocato, che aveva ben curato l’arringa, spettava la giusta ricompensa in fama e contanti.

Forse solo una giustizia si era bloccata.

Sapendo della mia incombente assoluzione, il mio petto si fece grigio, pesante. Sentivo ingiustamente la bilancia rovesciata dal mio lato, da quando, dei due piatti era rimasto pieno solo il mio e mio padre era scomparso sull’altro.

Non ci sono vocine a suggerirti come sentirti in certi momenti o cosa fare.

Vivevo chiuso nel mio sguardo

Provavo nausea, lercio fin dentro le ossa.

Optai di scarcerare la giustizia vera.

Essa non aveva mai avuto codici, agognata da molti che avevano desiderato possederla, era sempre fuggita restando con qualcuno solo per poche, brevi, illuminazioni.

Eserciti si erano immolati seguendola. Profeti presunti o falsi l’avevano urlata, convincendo provvisoriamente tutti. Era stata il seme d’ogni disputa.

La giustizia che ciascuno vive dentro di sé.

Quel respiro che rigenera ogni uomo quando compie un’azione sana.

Quel respiro, che gonfia il petto e ci addormenta sereni.



Confessai un omicidio mai commesso.

Vidi il mio legale dannarsi come un crociato dopo aver perso una reliquia.

Ma intanto con me in carcere, la giustizia di ciascuno era di nuovo in giro, pronta a sedurre e a liberare qualcun altro.

E poi… ero recluso solo fisicamente. ;)




Lo trovate anche su: http://www.babyloncafe.eu/justice.htm

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