
“Questo racconto parla di un uomo qualunque eppure è interessante!"
Benedetto non è un nome da protagonista, ma è così che mi battezzarono.
Sfrecciavo su una strada liscia come la linea del tempo.
Quella notte era densa e infinita.
No surprises dei Radiohead, una lenta ninna nanna, miagolava nella mia Alfa mentre gli alberi e le luci della città lampeggiavano fuori dal campo visivo, troppo veloci per raggiungerle.
Vidi due grossi fari ed una sagoma verde venirmi addosso, piantai la più lunga frenata della mia vita. Sfiorai l’autobus 91 e finì addosso ad un ragazzino.
Il botto.
Secco.
L’autobus, la frenata e l’impatto, mi rivedo uscire dall’auto, chiudere lo sportello ed urlare inebetito, caricare il ragazzino in auto e sgommare ancora, ma verso l’ospedale San Carlo.
Era stata una pessima idea svoltare per Via Tortona a quella velocità.
-Come ti chiami ragazzo? Stiamo andando in Ospedale, mi senti??- Tremolai acuto.
Alla settima domanda in dieci secondi la vittima colposa rispose stordita:- Si, si la sento… ‘Ntoni mi chiamo, sanguino molto?
-No non sanguini troppo ma di medicina non so nulla e poi è stato un incidente, è stato una frenata e insomma…
-Ma quanto sanguino?
-Ecco… Non tanto: così poco che il sedile ha ancora il suo colore.
‘Ntoni rise e poi aggiunse:- L’ho capito benissimo…
-Cosa?
-…che lei mente.
-Come?
-Lei correva, anzi scappava come un dannato, ha frenato per la 91 e non mi ha visto in tempo.
-…scappavo?
-Uno che guida così, non corre, scappa.
-Guarda, stai perdendo sangue è meglio che…
-Senta, mi ha dato una bella botta ma ho capito cos’è successo: lei stava scappando.
Tacqui perché era vero.
Chi mi inseguiva?
Nessuno.
Ognuno sfoga a suo modo i nervi di una giornata storta. Quando però si scopre che c’è qualcosa che è andato storto per anni ma non ce ne siamo mai accorti diventa più difficile.
Odiavo la puzza di gomma bruciata, odiavo i piloti improvvisati sulla circonvallazione, ma come un bambino scimmiotta chi detesta li avevo imitati.
Ero innocente, ero stato costretto da una ragazzina a comportarmi in quel modo.
‘Ntoni per un Karma errato stava soffrendo al suo posto.
Eccomi all’edificio, littorio, appena ristrutturato, tre bandiere si stendevano vanitose al vento godendosi un insolito sole di Gennaio.
Ripassavo il discorso e costruivo mentalmente il mio uditorio.
Ero preparato e ci tenevo a ben figurare.
L’aula, spaziosa e fredda.
I ritardatari prendevano posto.
Soundcheck dei microfoni.
Energia, sicurezza, qualità: tutti mi applaudirono.
-Tutto, bene, subito: sono i tre pilastri della contemporaneità è lì che si gioca la vita, out o off, vivo o morto, il mondo non ti aspetta. Rapido. La crisi? Va via dalla casa di chi sa cacciarla! Dobbiamo tutti ragionare così: Targets, cash, now! Ma non è così banale. Non si gioca per vincere la partita tre a zero segnando i tre gol in dieci minuti e guardando la partita gli altri ottanta.
Volete il mondo? Volete fare il lavoro che più vi piace? Non volete far nulla? Velocità ed efficacia per farlo. Ma la velocità non dev’essere solo orizzontale, deve scavare a fondo: dentro sé e attorno sé, cioè nel contesto contemporaneo.
Chi vince per davvero ha la scintilla del capire, capire con velocità appunto, capire prima degli altri.-
Ogni passaggio della mia argomentazione era stato seguito con attenzione, ogni mia parola bevuta con gusto. Avevo semplificato alcune mie riflessioni emerse negli studi degli ambiti economici a trecentosessanta gradi.
I ragazzini gradirono molto.
Ero in una scuola media superiore.
Avevo chiesto al mio Rettore d’essere inviato a presentare la nostra Università, lo feci più che altro per stimolo. Volevo “fiutare” qualcosa fuori dal mio solito recinto d’elite, da Master. Volevo annusare il profumo meno raffinato e più passionale delle menti fresche ed indecise. Volevo parlare a pensieri più lenti e meno atletici degli scattanti ragionamenti specialistici.
Stavo faticando a seguire il senso di una tipica domanda adolescenziale contorta e brufolosa quando un guizzo dall’ultima fila mi distrasse.
Una mano issata con sicurezza da trentenne.
Arrivò il suo turno.
Biondina e filiforme ma con occhi lucidi che mi bucarono le retine.
-Professore, lei parla di velocità, lucidità, insomma tutto sommato si rifà agli studi di McLowest?
-Mah guardi, McLowest si occupò piuttosto del rapporto tra la velocità del tempo moderno e…
Risposi un sacco d’altre robe, parlando a raffica ma con scarsa densità. Non ero sicuro di conoscere bene quello studioso: ricordavo fosse stato un sociologo interessato ai rapporti tra società e forme di mercato ma quel settore era affollato: vi studiavano in troppi, nessuno troppo rilevante per poterlo distinguere dagli altri. Buttai giù qualcosa che andava bene un po’ per tutti. Stavo già contraddicendo quanto appena detto: non ero veloce, non ero approfondito e del contesto attorno a me non stavo capendo nulla.
-La ringrazio Professore, è stato chiarissimo
-Prego, si figuri…
-Comunque McLowest me lo sono inventata io, non esiste.
Silenzio in sala.
Ecco quello stesso stabile littorio, incupito dall’uggiosa mattina mezzo invernale. Un ricordo quasi color seppia. Rivedo come un filmino di comunione in soggettiva quella mattina in cui decisi di proseguire gli studi avviandomi alle materie economiche.
Un articolo sul Corriere parlava del Financial manager.
Un tipo di uomo sicuro, rapido, intelligente…
Non era quello che a diciotto anni ero ma quello che sarei voluto diventare.
Non so quanti di voi abbiano scelto, abbiano capito o creduto d’aver compreso la propria strada in un secondo, in un lampo così rapido ed intenso. Una chitarra che hai avuto nell’armadio da sempre e che ora finalmente suona, un suono acerbo, scordato, ma che sa di musica. Strimpella un accordo mal riuscito ma reso sublime dall’allucinazione di vedersi su un palco a suonar sinfonie di scale per gli angeli.
Un secondo d’abbagliante appagamento nel vedermi quel Financial manager che non sarei mai diventato nella realtà.
Quel ricordo seppia si brucia, in un fuoco accecante e lento. Balla nel buio ed evapora.
-Scelta azzeccata la sua, complimenti e auguri per tutto…
-Grazie, professore grazie.
Una lode è per sempre.
Rieccomi all’esame di quel corso di Storia dell’economia. Materia che seccava parecchio i miei colleghi e che mi appassionò fin troppo.
Troppo per non farmi ripensare alle materie umanistiche, troppo per non invidiare da lì in poi la proprietà verbale ed il citazionismo equilibrato dei miei amici di Lettere. Fu così che tornai indietro sui miei galoppanti passi e mi avviai a studi storico –economici.
Dottorati e ricerche, tre pubblicazioni in un anno, i risultati furono eccellenti e subitanei.
Poiché il docente titolare si era trasferito lasciando vacante il posto, presentai richiesta formale stendendo una dissertazione per la Cattedra di Storia Economica.
Respinta.
Nei dodici secondi successivi la lettura della notifica accettai la sconfitta, ma poi mi chiesi chi avesse vinto al mio posto.
Laura Gamberti.
Mi recai dal Preside di Facoltà per vederci chiaro: gli avrei detto che volevo comprendere le mie mancanze per addrizzare il tiro in vista della prossima occasione.
Ma era uscito.
Trascorse una settimana in cui la rassegnazione levitò ed inghiottendola decisi di metter da parte anche la richiesta di chiarimenti.
Ennesimo Venerdì al Pub Panta rei: con qualche birra in più può nascere molta sincerità tra amici, compagni e persino conoscenti.
-Potrebbe andar meglio…
-Benedè, benedetto a te! C’hai un posto come assistente, t’hanno pure intervistato al Tg3 per l’ultimo libro, c’hai ventisei anni e ti lamenti? Io so due anni che aspetto per avere il contratto a regola!
-Si, Guido, ma quella lì… perché proprio lei?
-Non ho capito, di chi parli?
-Qualche tipaccia che gl’hai messo l’occhi addosso Benedè?
-No, no Benedetto parla della Laura…
-e chi è ‘sta Laura?
- Laura Gamberti, la dottoressa a cui hanno assegnato la cattedra di ruolo al posto suo…
-Ecco: se sapete già tutto che racconto a fare? Se il mondo conosce già il finale cosa narro a fare?
-Benedè a mica me l’avevi detta sta cosa! Questo è un colpodiscena!
-Colpo di scena? Davvero credevi diventassi Docente ordinario così facilmente?- Risi.
-E invece è un colpo di scena!
-Sapevo che non dovevi saperlo, sputtani le notizie più rapidamente del world wide web.
-Ma che vuodd veb e veb?? Vieni con me!
Guido mi prese la mano e mi condusse, anzi mi trascinò, per tutto il locale, pullulante di tavoli e gente.
Il pub, labirintico di suo, era ancora più disordinato da ebbro.
Mi sembrò di scivolare in quel caos alla velocità della luce: vedevo scomporsi le bocche dei commensali, i visi allungarsi, le parole materializzarsi per aria e confondersi, mi sembrò di perdere la cognizione dello spazio e quindi quella del tempo.
Ma non ero ubriaco.
Avevo solo deciso, per la prima volta nella mia esistenza, di ignorare lo scorrere dei secondi, di lasciarli andare. Avrei ignorato il tempo che mi dettava uno stupido display digitale vivendo per pochi, infiniti, istanti nel tempo che io scandivo per me stesso.
Mentre percorrevo trascinato fisicamente da Guido la confusione sudata di un pub, da qualche parte nella mia mente posizionavo una canna di bambù su un laghetto e lasciavo che gocce di rugiada vi colassero. Quel percorso labirintico verso la sorpresa che Guido aveva in serbo per me fu eterno. Suspense infinta verso il concetto stesso di ricevere una sorpresa.
Le mani dei commensali, le sedie, la puzza di birra, il lago, i bambù, un bambino che gioca.
-Benedè, guarda, guarda…- mi strattonò Guido, ghignando a bassa voce.
-Cosa…
Eravamo fuori. Maniche corte con le scarpe da ginnastica che si inzuppavano nella neve superstite stesa a chiazze nel parcheggio alle spalle del Pub.
Una solo furgoncino.
Vetri appannati, contai almeno quattro sagome in controluce.
Conobbi finalmente questa Laura Gamberti.
Lo sceneggiatore aveva dato alla mia vicenda un finale prevedibile.
Mi ripresi con le minacce, foto alla mano, il posto che mi sarebbe spettato per merito: la giustizia, non so in quale delle sue declinazioni, aveva trionfato.
Il mio Preside di facoltà non si spiegò mai perché la mia collega avesse rifiutato quel posto ma alla lunga si mostrò soddisfatto del mio lavoro.
Eccoci di nuovo al presente: Ospedale San Carlo, Pronto soccorso, spiegai la situazione.
Mi sembrò d’udire un rullo di timpano d’orchestra alzarsi. Mi dissero di sedermi ed aspettare.
Un grosso orologio tondo mi guardava.
Teneva le sue lancette ferme per diffidenza verso me.
Rividi il laghetto del mio tempo e dimenticai la paura per quella serata, questa volta nel presentimento che tutto sarebbe finito per il meglio.
Provavo caldo, sentivo odore di mare mentre le lancette dell’orologio cominciarono a ballare su un ritmo tribale le 4, 4 e un quarto, 5 e 6…
Attorno al laghetto del mio tempo era sorta una bella spiaggia, il tempo si muoveva ad onde. Provavo alternatamente ansia e sollievo: cadevo dall’amaca e finivo di faccia nella sabbia, non respiravo temendo per il verdetto sulle condizioni di ‘Ntoni. Poi mi sentivo più sereno, respiravo e guardavo il sole.
Chissà per quanto restai in quel limbo.
Mi destarono alcuni passi.
Toc toc
-Permesso?
L’orologio acconsentì e riprese a scorrere fluido.
Fece il suo ingresso una donna di colore, alta e sulla quarantina, capelli biondi e vestita da Lady di fine ottocento. Non era decisamente un’infermiera.
-Salve Benedetto da quanto tempo è che aspetti?
-A dire il vero non lo so…
-Quanto ancora hai intenzione di attendere? Non hai ancora capito il vero motivo per cui sei arrivato qui?
Tacqui.
-Ho messo sotto un ragazzino, ‘Ntoni…
-Non hai capito niente come al solito. Allora, hai speso una vita puntando sulla velocità e cercando con frenesia di raggiungere mete indefinite. Hai placato la tua insicurezza con la ricerca di un obbiettivo ed uno stimolo sempre nuovo. È arrivato il momento in cui il tempo ti impone di fermarti e riflettere. Quanto tempo ancora hai intenzione di far durare il tuo tempo? Credi che sia più importante il tempo della tua epoca o il tuo tempo soggettivo?
-Non lo so, forse…
-È ora di trovare un equilibrio. Il tempo nell’universo è sempre esistito in relazione con lo spazio e tu che hai vissuto in funzione della velocità non ti sei mosso in corrispondenza…
-Non capisco…
-Hai squilibrato l’equazione: corrotto lo spazio attorno a te in funzione del tuo tempo. Sei andato troppo veloce senza fare un passo, hai corso solo nella tua frenesia interiore, il tuo talento, la tua velocità di spirito è stata spesa a discapito dello spazio attorno a te.
-Cosa c’è di male in questo?
-Nulla o tutto. Ma sta di fatto che non sei servito a niente. Questa volta il tempo e lo spazio, che tu hai mal speso, si prendono la loro rivincita e ti costringono a scegliere il tuo futuro senza concederti tempo per comandarlo.
Benedetto, vuoi tu rientrare nelle forme del tempo o preferisci correre il rischio di buttarle via per tuffarti, a tuo rischio, nella valle della vita atemporale senza spazio né tempo?
Aspettai ancora una mezz’oretta.
-Buondì, come posso aiutarla?
-Starei aspettando di sapere come sta il ragazzo…
-Quale ragazzo?
-Un certo ‘Ntoni, sa l’incidente d’auto, stanotte… L’ho investito con la mia automobile che è qui fuori.
-A u t o m o b i l e? Che cosa vuol dire?
E ‘Ntoni dov’era? E la mia Alfa? E la vita di prima?
Non mi importava adesso: ero solo un puntino del mondo ed un trattino sulla linea del tempo.
Libero di scorrere e ricongiungermi col perenne fluire e col essere intero, non più solo col mio tempo. Libero da me stesso. In questa libertà da spazio e tempo posso creare, scrivere, suonare.
Chissà se altri esseri umani faranno come me. Non sono Zarathustra, non posso guidarvi io.
Dovrete trovare la strada per la libertà assoluta da soli, io ve l’ho descritta.
Racconto scritto per concorso a tema "La rapidità"